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Ecco, di nuovo a scrivere di lei,
di balconi
e delle sue conversazioni in casa.

Ecco, ora ricordo:
lei mi nascondeva
quello che conservava fra le pagine
dell’antologia di tutti quei maledetti poeti,
che tenacemente ci rovinavano
la vita.

“L’anno scorso, — diceva, — è successo qualcosa al mio cuore.
Si è messo ad andare alla deriva
come una nave con l'equipaggio morto
di febbre.

Si muoveva nel profondo del mio respiro,
preda delle correnti,
attaccato dagli squali.

Io gli dicevo:
“cuore, cuore, non ci sono vele né funi che ti possano aiutare.
Troppo in alto stanno le stelle
perché si possa trovare la strada.
Cuore, cuore mio,
troppi uomini
si sono arruolati nella tua squadra,
troppi sono scesi nei porti britannici,
perdendo le loro anime
nelle lacrime verdi dell’alcool”.

Così anch’io —
ricordo i suoi polpacci, per loro
ero pronto a battermi all'ultimo sangue,
e ripeto con lei:
cuore, cuore mio,
malato di febbre,
guarisci al più presto,
rimettiti in salute,
c’è ancora tanto ardente amore che ci aspetta,
tante bellissime tragedie
a noi celate nell’aperto mare.
Cuore, cuore mio,
mi riempie di tale gioia sentire
il tuo battito:
una volpe catturata,
ma non ancora doma.

© Serhiy Zhadan | Traduzione di Lorenzo Pompeo

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